Roma, 15 novembre 2000.

La sentenza n. 482/2000 della Corte Costituzionale: un atto politico vessatorio.

La sentenza cancella un inciso del comma 6 dell'art. 6 della legge 431/98 e cioè le parole "e comunque fino all'effettivo rilascio". La Corte stabilisce che l'entità del maggior danno stabilita dalla legge pari al canone in quel momenti corrisposto maggiorato del 20% valga solo per i periodi di sospensione o di proroga dell'esecuzione dello sfratto decisi ope legis o giudizialmente.

Dopo "non vi è motivo per cui non debba operare il regime ordinario, che regola il risarcimento del maggior danno secondo la disciplina dell'art. 1591 codice civile e ne rimette al giudice la determinazione sulla base degli elementi probatori che il locatore sarà in grado di offrire secondo le regole ordinarie" (sic!).

La Corte non ha assunto una posizione mediana ma ha ristabilito le stesse condizioni esistenti prima della Legge 431/98 quando da diverse parti proprietarie (anche da parte di Enti Assicurativi come le Ass. Generali) si richiesero dei pronunciamenti dei giudici tesi a fissare l'entità del risarcimento del danno in somme rilevanti, in genere la differenza tra il canone corrisposto dall'inquilino e quello di "mercato" o, nel caso delle Assicurazioni aderenti all'ANIA, a quello fissato nei protocolli d'intesa firmati con Sunia, Sicet, Uniat. Ricordo che in quella fase ( 1995-97) vi furono numerose sentenze pretorili e della Cassazione che ribadivano in modo maggioritario tale interpretazione sul risarcimento del danno.

La lettura della sentenza nella parte "storica" chiarisce molto bene che la sua validità risiede nel passaggio dalla legge 392/78 alla disciplina transitoria ma demolitoria dell'equo canone rappresentato dall' art. 11 della legge 359/92 (i patti in deroga). Infatti in precedenza non ci risulta che i locatori abbiano ritenuto di promuovere delle vertenze risarcitorie per il mancato rilascio dell'immobile locato, dal momento che legale era SOLO il canone la cui entità era fissato dagli art. dal 12 al 24 della legge 392/78.

Anche in questa sede non posso non rilevare la grave e totale responsabilità dell'on. Chicco Testa, presentatore del testo in oggetto e della segreteria nazionale del Sunia nell'averlo auspicato e successivamente magnificato, con il Sicet e l'Uniat accodati a questa linea "sindacale".

Debbo ulteriormente rilevare che nella fase segnata dai "patti in deroga" l'Unione Inquilini a livello nazionale e con iniziative di lotta a livello locale ha cercato in tutti i modi e senza esito di trovare qualche pretore che ritenesse ragionevolmente fondata la nostra richiesta di rimettere al giudizio di costituzionalità l'istituto della finita locazione: chi vi scrive insieme ad altri inquilini delle Ass. Generali fece lo sciopero della fame per otto giorni davanti alla Pretura di Firenze.

Le condizioni di sofferenza dell'inquilino soggetto a provvedimento di rilascio si erano ulteriormente aggravate nell'ultimo quinquennio quando "per prassi" non contrastata è stato costretto a pagare le spese legali per le procedure esecutive del rilascio successive alla fissazione dei termini per il rilascio. Gli oneri sono rilevanti (dai 2 ai 5 milioni a seconda degli accessi dell'Uff. Giudiziario e dell'attività spesso gonfiata ad arte degli avvocati del locatore) e talvolta già per questi si arriva alla fase del decreto ingiuntivo.

La nostra esperienza nel decennio 1980-90 non ci offriva una casistica di questo segno: cioè l'inquilino che se ne andava non pagava le spese giudiziarie della parte avversa.

La sentenza n. 482/2000 della Corte Costituzionale esorbita dal diritto e ha fortemente invaso il piano delle scelte politiche:

  • la Corte stessa pur rilevando che l'intero articolo 6 della legge 431/98 si applica solo ai "comuni ad alta tensione abitativa", non ha ritenuto che le disposizioni sul risarcimento del danno avessero una organica relazione - assieme ai provvedimenti di proroga e di sospensione - con la condizione di alta tensione abitativa, ma fossero solo da rapportare ai periodi legalmente stabiliti di sospensione e proroga delle esecuzioni.
  • Del resto la Corte aveva già agito politicamente con la sentenza n. 321 del 24 luglio 1998 negando - pur in permanenza di situazioni di alta tensione abitativa - la competenza delle Commissioni Prefettizie e del Prefetto sulla concreta esecuzione degli sfratti; e per la tempestività della sentenza condizionando in questo modo lo stesso processo legislativo per la legge 431/98.

Si tratta in tutti e due i casi di atti che hanno fortemente colpito un settore della popolazione, costringendola non solo a sgomberi senza alternative abitative, con turbative dell'ordine pubblico, ma soprattutto generalizzando condizioni di ritorno alla precarietà con il ritorno di molti (soprattutto anziani) alla pura e semplice coabitazione, e ad altri a ricorrere alla "solidarietà" interfamiliare per far fronte ai canoni di mercato di alloggi altrimenti reperiti. Un degrado per la dignità di decine di migliaia di persone che avevano bisogno e diritto al massimo di protezione sociale e giuridica.

A mio avviso la sentenza n. 482/2000 va respinta; va ribadita la piena validità del disposto dell' art. 42, comma 2 della Costituzione e cioè che la legge determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti della proprietà privata... "allo scopo di assicurarne la funzione sociale". Ora è del tutto evidente che tale vincolo si concretizzava nel nostro caso con l'individuazione nella legge n.61/1989 dell'elenco dei comuni ad alta tensione abitativa.

Che cosa è la tensione abitativa: si determina per legge e tale determinazione è stata assunta anche dal CIPE per ogni ripartizione dei fondi ERP alle Regioni e dalle Regioni ai Comuni: rapporto tra sfratti e abitazioni, rapporto tra parco residenziale privato e pubblico, rapporto tra popolazione residente e domanda ai bandi ERP.

Una norma di protezione (il risarcimento del danno configurato nell'art. 6 comma 6° della legge 431/98 è tale) aveva senso in condizioni accertate di un mercato privato non accessibile o accessibile solo con un drastico immiserimento del potenziale conduttore e di una offerta pubblica incapace da porsi come alternativa in tempo reale allo sfratto forzoso almeno per le categorie sociali più deboli.

In conclusione:

  • la Corte Costituzionale ha disarticolato l'articolo 6 comma 6 della legge 431/98 in cui tutto si lega; poteva benissimo decidere in modo avverso al ricorso dando forza - come era giusto - a quell'aspetto che determina a cascata tutti gli altri e cioè all'esistenza certificata ex lege di "comuni ad alta tensione abitativa".
  • Non lo ha fatto e questo è molto grave per la stessa credibilità giuridica della Corte e ci autorizza a disconosce la validità della sentenza. Però... a chi ci rivolgiamo se non esiste alcuna Corte superiore?

Che cosa può succedere ?

Gli effetti potenziali delle sentenza si scaricano su due versanti: - sulla dinamica delle esecuzioni in corso; - sulla contrattazione dei rinnovi dei canoni di locazione.

Si tratta di due emergenze che vanno affrontate con la stessa attenzione.

Non possiamo ancora percepire il modo in cui tale sentenza verrà vissuta dai conduttori soggetti a sfratto esecutivo.

Certo è che a richiesta - ma non solo - noi non potremmo nascondere quello che la proprietà può esigere nei loro confronti. E noi sappiamo che cosa costa una vertenza per la determinazione dell'entità risarcitoria (le spese legali nelle cause fatte dal 1995 al 1997 erano nell'ordine dei 2 milioni ma solo perché si arrivava a delle conciliazioni). Il risarcimento in ogni caso non sarebbe mai inferiore - se va bene - al canone concertato per l'alloggio in questione, per cui è prevedibile un differenziale da corrispondere da un minimo di 500 mila ad oltre 1 milione di lire (questo per Milano, Padova, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli ...).

Sappiamo che dopo la sentenza e oltre i termini per il pagamento si passa ai decreti ingiuntivi con le conseguenze note: possibilità di pignoramento del quinto dello stipendio o pensione, sequestro cautelativo dei depositi bancari o di quant'altro accertabile, fino al pignoramento eclatante di parte dell'arredo.

Siamo all'infamia.

Altri effetti sono di tipo intimidatorio e vessatorio. Riguardano la contrattazione dei rinnovi dei canoni scaduti. La capacità di resistere a pretese esose sarà fortemente condizionata da questa nefasta sentenza e neppure è prevedibile che il livello del risarcimento "legittimo" da definire in giudizio nei casi di "disdetta per finita locazione" sia determinato nelle fasce dei canoni contrattati invece che dal libero mercato. E perché mai un giudice dovrebbe negare al locatore questa possibilità se la legge glielo consente!!!

Vedremo tra breve che tipo di atteggiamento verrà assunto dall'ANIA e dalla Confedilizia nella prima riunione convocata il 21 novembre sul rinnovo dei contratti nel comparto assicurativo e in particolare quale tipo di canone sarà proposto per i soggetti deboli.

Che fare?

Nei Comuni ad alta tensione abitativa il livello di protezione per gli inquilini soggetti a procedura di rilascio deve essere rafforzato per i seguenti motivi:

  • insufficiente è il flusso di assegnazioni di fronte alla potenzialità numerica dei rilasci che dovrebbero scaricarsi e concentrarsi come richieste di alloggio pubblico ai Comuni e agli IACP;
  • oggi negli Comuni dove funziona un minimo di programmazione (vedi Firenze e Venezia) è possibile operare solo su alloggi di resulta;
  • pochissimi sono i Comuni in procinto di consegnare stock significati di alloggi pubblici;
  • il contributo all'affitto in rarissimi casi è stato erogato (anche questo doveva essere un argomento sostanziale per non arrivare ad una sentenza così tranchant ma lo doveva portare l'Avvocato dello Stato... lo ha fatto?!);
  • ininfluente è il sistema di detrazioni fiscali previsto per l'IRPEF del conduttore.

Insomma è chiaro che la condizione vessatoria in cui vengono a trovarsi tante persone deriva tanto dalla nequizia giuridica della Corte Costituzionale che dall'ignavia colpevole della Pubblica Amministrazione.

Si potrebbe proporre un fondo di protezione - desunto dal bilancio dello Stato e non più dai residui fondi Gescal - nei comuni ad alta tensione abitativa a favore dei soggetti aventi diritto a richiedere il contributo all'affitto (con limiti di reddito per la permanenza in alloggi ERP): tale fondo coprirebbe l'entità dei risarcimenti e delle spese legali fino allo sgombero dell'abitazione.

Si tratta di una proposta campata in aria? Nient'affatto.

Nelle nostra legislazione esiste un precedente "a fortiori" ed è quello contenuto nell'art. 4 della legge 25/80 che autorizzava
"il Ministero degli Interni tramite le Prefetture e su proposta dei sindaci interessati al pagamento di una somma non superiore a lire 1.000.000 in favore dei soggetti che ne facciano richiesta, nei cui confronti siano stati emessi provvedimenti di rilascio fondati sulla morosità del conduttore o del subconduttore" (con un reddito non superiore al come limite per l'accesso all'ERP).

Un milione del 1980 corrisponde ad oltre 10 milioni di oggi.

Lo Stato potrebbe obiettare che la responsabilità e l'onere del provvedimento dovrebbe ricadere sui Comuni largamente inadempienti rispetto all'impiego dei fondi ERP. Questa è senza dubbio una forte argomentazione, ma con quali conseguenze per i soggetti deboli?

Si entrerebbe in un contenzioso politico paralizzante.

Questione tutta aperta è quella della contrattazione dei nuovi canoni e ricontrattazione dei canoni con contratti scaduti.

Non sono in grado di fare un proposta a leggi invariate. Bisognerebbe modificare la legge 431/98 riconducendo i canoni tutti alla contrattazione sindacale.

La questione deve essere sollevata non solo a parole ma con manifestazioni di piazza, presidi e quant'altro.

Il segretario nazionale

Vincenzo Simoni


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