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SENTENZA N. 309ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Avv. Mauro FERRI Presidente - Prof. Enzo CHELI Giudice - Dott. Renato GRANATA " - Prof. Giuliano VASSALLI " - Prof. Francesco GUIZZI " - Prof. Cesare MIRABELLI " - Prof. Fernando SANTOSUOSSO " - Avv. Massimo VARI " - Dott. Cesare RUPERTO " - Prof. Gustavo ZAGREBELSKY " - Prof. Valerio ONIDA " - Prof. Carlo MEZZANOTTE " ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1995 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Maurizio Gifuni e Silvio Scuotto, iscritta al n. 938 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1996. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 29 maggio 1996 il Giudice relatore Cesare Mirabelli. Ritenuto in fatto 1. -- Nel corso di un giudizio promosso dal conduttore di un immobile destinato ad abitazione e diretto ad ottenere la determinazione del canone di locazione secondo i criteri stabiliti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e la condanna del locatore alla restituzione delle somme indebitamente pagate in eccedenza rispetto all'equo canone, il Pretore di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 18 e 23 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2, della legge 8 agosto 1992, n. 359 (più precisamente: del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, recante: "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica", convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359), nella parte in cui prevede come necessaria l'assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organizzazioni provinciali, per la stipula di accordi in deroga alla legge n. 392 del 1978. L'art. 11 del decreto-legge n. 333 del 1992 dispone (al comma 1) che, fino alla revisione della disciplina delle locazioni degli immobili urbani, le disposizioni concernenti l'equo canone di quelli adibiti ad uso di abitazione (artt. 12 e seguenti della legge n. 392 del 1978) non si applicano ai contratti di locazione stipulati dopo l'entrata in vigore dello stesso decreto-legge e relativi ad immobili di nuova realizzazione. Il medesimo articolo stabilisce (al comma 2, ora sottoposto a verifica di legittimità costituzionale) che nei contratti di locazione relativi agli altri immobili, stipulati o rinnovati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione, le parti, con l'assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organizzazioni provinciali, possono stipulare accordi in deroga alle disposizioni della legge n. 392 del 1978. In questo caso il locatore deve rinunciare alla facoltà di disdettare il contratto alla prima scadenza. Il Pretore ritiene che l'unica interpretazione possibile dell'art. 11, comma 2, del decreto-legge n. 333 del 1992, coerente con il suo tenore letterale, sia nel senso che è necessaria l'assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori, per non incorrere nella nullità delle pattuizioni convenute in deroga ai criteri legislativi di determinazione del canone. Ma proprio l'obbligatorietà dell'assistenza sarebbe in contrasto con la libertà di associazione, garantita anche nel suo aspetto negativo (art. 18 della Costituzione). Difatti, imporre di ricorrere all'assistenza di determinate associazioni private, le sole legittimate a svolgere questa attività, che dà anche titolo ad un compenso, significherebbe obbligare di fatto il cittadino ad associarsi, chiedendogli di contribuire economicamente alla vita di una organizzazione, i cui fini egli può anche non condividere. Il giudice rimettente rileva, sotto un altro profilo, che l'obbligo di avvalersi dell'assistenza di determinate associazioni implica il pagamento di un compenso, senza che ne siano fissati in alcun modo, in base alla legge, i criteri di determinazione. Si sarebbe, così, in presenza di una prestazione patrimoniale, la cui imposizione contrasterebbe con l'art. 23 della Costituzione. Ad avviso del Pretore, la disposizione denunciata sarebbe, inoltre, del tutto irragionevole, giacché la legge non individua le modalità con le quali dovrebbe essere espletata l'assistenza, e questa viene resa obbligatoria anche per soggetti che non hanno alcuna necessità di essere assistiti in una libera contrattazione. 2. -- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata. L'Avvocatura condivide l'interpretazione dell'ordinanza di rimessione, che qualifica come obbligatoria l'assistenza delle organizzazioni sia della proprietà edilizia che dei conduttori. Ritiene, tuttavia, che non siano fondati i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dall'ordinanza di rimessione. Ad avviso dell'Avvocatura, le organizzazioni sindacali non potrebbero rifiutare l'assistenza prevista dalla legge. Né il corrispettivo da esse eventualmente richiesto potrebbe essere assimilato ad un contributo associativo: si tratterebbe, piuttosto, del compenso per uno specifico servizio, il cui pagamento non attribuisce la condizione di associato. L'Avvocatura ritiene che la disposizione denunciata non violi neppure il principio di ragionevolezza. La disciplina normativa, difatti, risponderebbe all'interesse generale di assicurare una transizione del regime delle locazioni verso il libero mercato, senza esasperazioni conflittuali nelle posizioni dei singoli, mediate dalle contrapposte associazioni di categoria. Con riferimento, infine, all'art. 23 della Costituzione, la questione sarebbe inammissibile, perché il giudizio principale non ha ad oggetto l'obbligo del corrispettivo, né la gratuità o l'onerosità della prestazione. Considerato in diritto 1. -- La questione di legittimità costituzionale riguarda le modifiche apportate alla disciplina delle locazioni di immobili urbani, nell'ambito di misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, dall'art. 11 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359). Il Pretore di Napoli ritiene che il comma 2 di questa disposizione sia in contrasto con gli artt. 3, 18 e 23 della Costituzione, nella parte in cui prevede come necessaria, per stipulare accordi in deroga alle norme della legge 27 luglio 1978, n. 392, l'assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organizzazioni provinciali. 2. -- L'art. 11 del decreto-legge n. 333 del 1992 muove nella prospettiva di una graduale transizione: dalla determinazione legislativa del canone di locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazione secondo criteri inderogabili (artt. 12 e seguenti della legge n. 392 del 1978) alla libera determinazione negoziale del canone stesso. Difatti, fino alla revisione della disciplina delle locazioni degli immobili urbani, il canone è liberamente stabilito dalle parti per gli immobili di nuova costruzione, mentre per gli altri immobili le parti possono determinarlo in deroga ai criteri fissati dalla legge n. 392 del 1978, solo se l'accordo è stipulato con l'assistenza delle associazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative e se il locatore rinuncia alla facoltà di disdettare il contratto alla prima scadenza, estendendo così nel tempo la durata del rapporto. Quest'ultima disciplina configura l'ipotesi di un atto di autonomia, idoneo a derogare a talune norme imperative solo se "assistito". Il limite legislativo ai contenuti delle pattuizioni tra le parti può, così, essere superato solo seguendo una determinata procedura o con il concorso di altri soggetti alla stipulazione del contratto. 3. -- La disciplina legislativa dei patti in deroga nelle locazioni di immobili urbani riecheggia, per qualche aspetto, quella sperimentata in materia agraria per l'affitto di fondi rustici. Anche in quest'ultimo settore dell'ordinamento le parti possono stipulare accordi che deroghino alle norme vigenti in materia di contratti agrari, purché con l'assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, tramite le loro organizzazioni provinciali (art. 23, terzo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 11, sostituito dall'art. 45 della legge 3 maggio 1982, n. 203). L'assonanza letterale delle due discipline è evidente. Come pure comune ad esse è l'esigenza di assicurare, nella contrattazione, una equilibrata protezione di interessi costituzionalmente rilevanti, che toccano la condizione della persona: il lavoro, nei contratti agrari; l'abitazione, nelle locazioni di immobili urbani. Ma le due discipline si differenziano, perché solo in materia agraria la partecipazione delle associazioni di categoria si inserisce in un sistema articolato ed organico, concorrendo esse a determinare, su di un piano generale, elementi dei contratti e canoni di affitto. Nel settore dell'agricoltura, difatti, i rappresentanti delle associazioni professionali sono inseriti nelle commissioni tecniche provinciali, istituite presso la pubblica amministrazione per determinare le tabelle dei canoni di equo affitto, distinti per zone agrarie omogenee (artt. 9 e seguenti della legge n. 203 del 1982). Le stesse associazioni possono stipulare accordi collettivi in materia di contratti agrari (art. 45, terzo comma, della legge n. 203 del 1982), fissando quindi anche criteri di determinazione dei canoni di affitto. In un sistema così articolato si inserisce l'assistenza delle medesime organizzazioni alla stipulazione di accordi in deroga a norme imperative: in tal modo si introduce un ulteriore ed accessorio strumento di flessibilità, ritenuto opportuno per adeguare, in un contesto di parametri più generali, il contenuto di ogni singolo contratto al concreto e specifico rapporto. 4. -- Anche nelle locazioni di immobili urbani l'assistenza delle organizzazioni rappresentative di interessi collettivi, della proprietà edilizia e dei conduttori, è prevista dalla legge come necessaria, perché le parti possano determinare elementi del contenuto del contratto, specificamente attinenti al canone di locazione, i quali altrimenti rimarrebbero vincolati dai rigidi criteri fissati dalla legge. Il superamento dei limiti posti da norme imperative viene, in tal modo, bilanciato dalla assistenza di rappresentanti degli interessi collettivi, considerata equilibratrice nelle determinazioni che intervengono tra le parti in contratti di rilevanza sociale. Ma la previsione dell'assistenza non è inserita in un sistema che consenta, da una parte, di determinarne il contenuto e di individuare i criteri ai quali essa si deve conformare, così come sarebbe invece necessario per la natura e la certezza dei rapporti su cui si viene ad incidere; né, d'altra parte, è preordinato un meccanismo che permetta ai contraenti di conoscere con sicurezza, prima della stipulazione del contratto, quali siano le organizzazioni abilitate a prestare loro idonea assistenza. Sotto il profilo soggettivo il criterio della maggiore rappresentatività delle organizzazioni di categoria implica una valutazione alla quale non corrisponde uno strumento certativo, cui i contraenti possano attingere per chiedere assistenza nella stipulazione del contratto, in modo da poter soddisfare con sicurezza l'onere previsto dalla legge. Il concorso delle organizzazioni di categoria alla designazione di un componente delle commissioni provinciali consultive in materia di esecuzione degli sfratti (art. 4 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551) potrebbe costituire solo un indice di maggiore rappresentatività di alcune delle organizzazioni. D'altra parte nel settore considerato non esistono contratti collettivi, la cui sottoscrizione comprovi la rappresentatività delle organizzazioni che li stipulano. Ma, in ogni caso, non è previsto alcuno strumento di conoscenza che consenta, a chi deve necessariamente ricorrere all'assistenza, l'individuazione affidabile e la scelta del soggetto abilitato a prestarla. L'assistenza delle organizzazioni di categoria, oltre che obbligatoria, è onerosa per chi vi ricorre. Lo stesso legislatore prevede specificamente, nella disciplina tributaria, l'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto da applicare alle prestazioni dei servizi di assistenza in questione (art. 36, comma 3, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, con il quale si aggiunge il numero 127-octies nella tabella A, parte terza, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). Ma manca qualsiasi criterio di determinazione e di controllo dell'entità del corrispettivo, per un'attività riservata in esclusiva ad un numero limitato e ristretto di soggetti. Se si considera il profilo oggettivo, la legge non determina il contenuto dell'assistenza, necessaria per stipulare validamente gli accordi in deroga. L'assistenza può costituire solo un vincolo procedurale, diretto a garantire che il contraente debole sia informato e sostenuto, e realizzare così un equilibrio tra le parti nella stipulazione del contratto, senza che tuttavia sia necessario l'assenso di chi vi assiste. Ma in tal caso non trovano giustificazione logica né l'assolutezza e la generalità dell'obbligo di ricorrere all'assistenza, indipendentemente dalla capacità dei contraenti di autonoma valutazione, né l'attribuzione esclusivamente ad alcuni soggetti della legittimazione a prestare validamente un'assistenza che assume connotazioni prevalentemente tecniche. Si può ritenere, invece, che l'assistenza sia tale da incidere sui contenuti del negozio tra le parti e che l'assenso delle contrapposte associazioni di categoria concorra a conferire validità agli accordi in deroga a disposizioni imperative. Ma, in questo caso, manca qualsiasi indicazione sui criteri o sui parametri di valutazione, cui le associazioni debbono ispirarsi per assentire assistendo. L'indicazione di tali criteri o parametri si dimostra ancor più necessaria se si ritiene che attraverso le valutazioni delle associazioni si eserciti un controllo sull'autonomia negoziale delle parti non nell'esclusivo interesse di queste, ma per perseguire un interesse collettivo, che in tal caso dovrebbe essere chiaramente individuato. Sarebbe, difatti, del tutto irragionevole l'esito della disciplina legislativa che rimettesse la possibilità di derogare a norme imperative alla determinazione, meramente potestativa e del tutto insindacabile, di associazioni private. Non è, dunque, in discussione la legittimità del collegamento della validità di una deroga a norme imperative con l'assolvimento di un onere di assistenza, ma sono poste in questione le modalità con le quali questo onere si atteggia. Il meccanismo indicato dal legislatore si presenta, difatti, incongruo rispetto alle finalità perseguite (tanto che si tratti di sostenere le parti nel convenire patti in deroga, quanto che si tratti di controllare il contenuto di questi) ed incoerente nella sua configurazione interna, in contrasto, quindi, con il principio di ragionevolezza stabilito dall'art. 3 della Costituzione. E' incoerente ed incongrua la norma che prevede l'assistenza come obbligatoria per la validità di un accordo tra privati, ma che non consente, poi, di individuare con certezza i soggetti abilitati a prestarla, né indica criteri di determinazione del corrispettivo cui si è tenuti. Sotto altro profilo è egualmente irragionevole la norma che impone l'onere di assistenza, ma non ne delinea in alcun modo il contenuto, né indica i criteri cui devono essere ispirate le valutazioni che, eventualmente, consentono a chi presta assistenza di incidere sull'esercizio dell'autonomia riconosciuta agli interessati, sino ad inibirla. La questione di legittimità costituzionale è, in questi termini, fondata. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, nella parte in cui prevede come obbligatoria l'assistenza delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori per la stipula di accordi in deroga alla legge 27 luglio 1978, n. 392. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il Presidente: Avv. Mauro FERRI Redattore: Prof. Cesare MIRABELLI |
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