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SENTENZA N. 321

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Dott. Renato GRANATA                     Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI                   Giudice

- Prof. Francesco GUIZZI                       "

- Prof. Cesare MIRABELLI                       "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO                   "

- Avv. Massimo VARI                            "

- Dott. Cesare RUPERTO                         "

- Dott. Riccardo CHIEPPA                       "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY                    "

- Prof. Valerio ONIDA                          "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE                       "

- Avv. Fernanda CONTRI                         "

- Prof. Guido NEPPI MODONA                     "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI                "

- Prof. Annibale MARINI                        "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 5, del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 443 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di opere pubbliche e politiche ambientali e territoriali, nonché disposizioni urgenti per il recupero edilizio nei centri urbani), promosso con ordinanza emessa il 25 settembre 1996 (pervenuta alla Corte costituzionale il 3 aprile 1997), dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Renzo Baglioni e Loris Garuglieri, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di costituzione di Renzo Baglioni, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

uditi gli avvocati Nino Scripelliti e Giuseppe Morbidelli per Renzo Baglioni e l’avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. — Con ordinanza emessa il 25 settembre 1996 e pervenuta il 3 aprile 1997, il Pretore di Firenze, nel corso di un procedimento di esecuzione per rilascio di un immobile adibito ad uso di abitazione, ha sollevato — in riferimento agli artt. 24, primo comma; 42, primo e secondo comma; 102, primo comma, della Costituzione — questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 5, del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 443 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di opere pubbliche e politiche ambientali e territoriali, nonché disposizioni urgenti per il recupero edilizio nei centri urbani). In base a questa disposizione, che ripete il contenuto di precedenti decreti-legge decaduti per mancata conversione, gli artt. 3 e 5 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 1989, n. 61, devono intendersi nel senso che al prefetto è attribuita la potestà, oltre che di fissare criteri generali per l’impiego della forza pubblica nell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, anche di determinare puntualmente i tempi e le modalità della concessione della medesima, in correlazione con le situazioni di volta in volta emergenti, anche in deroga all’ordine di presentazione delle richieste dell’ufficiale giudiziario.

Ad avviso del giudice rimettente, la norma denunciata, che si prospetta come di interpretazione autentica, avrebbe in realtà contenuto innovativo, giacché attribuisce al prefetto non solo la competenza a dettare criteri generali per l’assistenza della forza pubblica, già previsti dagli artt. 3 e 5 del decreto-legge n. 551 del 1988, ma anche il potere di considerare casi particolari per negare l’assistenza della forza pubblica, altrimenti dovuta in base ai criteri generali. In tal modo l’autorità amministrativa potrebbe esaminare singoli procedimenti esecutivi e valutare comparativamente la situazione del locatore, che procede all’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile, e quella del conduttore, che subisce l’esecuzione forzata. Ciò comporterebbe una revisione della valutazione già operata dal giudice, il quale nel provvedimento di rilascio fissa la data dell’esecuzione, tenendo conto sia delle condizioni del conduttore e del locatore sia delle ragioni per le quali viene disposto il rilascio (art. 56 della legge 27 luglio 1978, n. 392).

Ad avviso del giudice rimettente, la disposizione denunciata violerebbe il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (art. 24, primo comma, Cost.), che comprende anche la fase dell’esecuzione forzata, destinata a dare attuazione al provvedimento adottato dal giudice; mentre la facoltà attribuita al prefetto di ritardare singole esecuzioni, non per ragioni di ordine generale, bensì in considerazione di esigenze che sono state già valutate dal giudice, si risolverebbe in un diniego di giustizia per il soggetto che ha ottenuto il provvedimento giurisdizionale.

Il giudice rimettente ritiene che la norma denunciata violi anche la garanzia costituzionale della proprietà privata (art. 42, primo e secondo comma, Cost.). L’intervento del prefetto, che non è limitato ad un periodo di tempo determinato e ristretto, imporrebbe un sacrificio anche ai proprietari che hanno urgente necessità di adibire l’immobile ad abitazione propria e comprenderebbe, secondo la norma di interpretazione autentica ma non secondo le disposizioni interpretate, anche i titoli di sfratto per morosità del conduttore. Inoltre il blocco delle esecuzioni per un lungo periodo di tempo, pur non costituendo giuridicamente una proroga dei contratti di locazione, sarebbe ad essa assimilabile, giacché egualmente non consente al locatore di ottenere la disponibilità dell’immobile. Il sacrificio del diritto di proprietà non sarebbe giustificato da interessi generali, i quali sono stati già tenuti presenti nella disciplina legale dei contratti di locazione, ma sarebbe disposto solo nell’interesse del singolo conduttore. In tal modo verrebbero posti a carico del locatore oneri assistenziali che non gli competono.

Sarebbe, infine, violata anche la garanzia che la funzione giurisdizionale sia esercitata da magistrati (art. 102, primo comma, Cost.). Difatti la fissazione della data di esecuzione è stabilita dal giudice che adotta il provvedimento di rilascio ed è compresa nell’attività giurisdizionale, mentre la disposizione denunciata consentirebbe all’autorità amministrativa di rivedere sostanzialmente tale provvedimento, differendo anche per anni il compimento dell’esecuzione mediante il rifiuto di assistenza della forza pubblica.

2. — Si è costituito nel giudizio, concludendo per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, il locatore che aveva chiesto al Pretore, quale giudice dell’esecuzione, di accertare quando dovesse essere ottenuta, secondo i criteri di priorità legale stabiliti in via generale, l’assistenza della forza pubblica per l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile.

La parte privata ha presente che il decreto-legge denunciato non è stato convertito in legge, ma ritiene che vi sia ancora interesse ad una decisione di merito sui limiti di costituzionalità dell’ingerenza della pubblica amministrazione nell’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali che dispongono il rilascio di immobili per uso abitativo. Ciò perché la norma denunciata aveva effetti meramente interpretativi e si può presumere che il suo contenuto corrisponda a quello delle disposizioni interpretate, tuttora in vigore. Inoltre l’interpretazione autentica, contenuta nell’art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 443 del 1996, tenderebbe a corrispondere al diritto vivente nella prassi applicativa delle prefetture. Infine, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 84 del 1996), la norma contenuta in un atto che ha forza di legge al momento in cui, in ordine ad essa, viene sollevata la questione di legittimità costituzionale, continua ad essere oggetto della verifica di costituzionalità quando permanga nell’ordinamento una norma identica, perché riprodotta nella sua espressione testuale o nel suo contenuto precettivo essenziale da altra disposizione successiva, alla quale dovrà riferirsi la pronuncia.

3. — E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

La questione sarebbe inammissibile perché il decreto-legge n. 443 del 1996, denunciato dal giudice rimettente, non è stato convertito in legge, avendo la Camera dei deputati votato contro il disegno di legge di conversione nella seduta del 9 ottobre 1996 (Gazzetta Ufficiale n. 238, serie generale, del 10 ottobre 1996).

Nel merito l’Avvocatura ritiene che il dubbio di legittimità costituzionale derivi dall’erronea premessa interpretativa secondo la quale l’art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 443 del 1996 consentirebbe al prefetto di esaminare i singoli procedimenti esecutivi e di valutare comparativamente la situazione del locatore, che procede all’esecuzione, e quella del conduttore, che la subisce. La norma denunciata avrebbe, invece, inteso evitare che la fissazione di criteri generali per la concessione della forza pubblica, demandata al prefetto dagli artt. 3 e 5 del decreto-legge n. 551 del 1988, potesse cristallizzarsi in un provvedimento immodificabile, inadeguato ad adattarsi al mutevole atteggiarsi della situazione abitativa nel tempo, mentre non sarebbe comunque consentita alcuna comparazione delle posizioni delle parti interessate all’esecuzione.

La norma denunciata, correttamente interpretata, non sarebbe in contrasto con l’art. 24, primo comma, della Costituzione, giacché, ad avviso dell’Avvocatura, le attribuzioni del prefetto non interferiscono con quelle dell’autorità giudiziaria, alla quale sola è rimessa la valutazione del caso concreto e della posizione delle parti, mentre il prefetto valuta la compatibilità dell’effettiva esecuzione del rilascio dell’abitazione con gli interessi generali.

Non sarebbe neppure violato l’art. 42, primo e secondo comma, della Costituzione, giacché la norma denunciata non comprimerebbe la proprietà e la libera disponibilità dell’immobile in modo indefinito e senza ancoraggio al pubblico interesse, che l’autorità amministrativa è, appunto, chiamata a valutare.

Non sarebbe, infine, violato l’art. 102, primo comma, della Costituzione, perché la competenza rimessa al prefetto non ha natura né funzione giurisdizionali. Il provvedimento di rilascio adottato dal giudice e la procedura esecutiva rimarrebbero integri, mentre il prefetto avrebbe solo il compito, nel concedere l’assistenza della forza pubblica, di contemperare le esigenze generali con quelle particolari.

4.— In prossimità dell’udienza la parte privata ha depositato una memoria per illustrare gli argomenti a sostegno dell’accoglimento della questione di legittimità costituzionale e per chiedere, anzitutto, il trasferimento del sindacato di costituzionalità dall’art. 2, comma 5, del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 443, nel frattempo decaduto, alla disposizione, contenuta nell’atto avente forza di legge attualmente in vigore (art. 1-bis del decreto-legge 19 giugno 1997, n. 172, convertito, con modificazioni, nella legge 25 luglio 1997, n. 240), che riproduce espressamente il medesimo testo. Il trasferimento della questione di legittimità costituzionale da un atto normativo all’altro è stato ammesso dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 84 del 1996 e n. 429 del 1997) sul presupposto della permanenza della medesima norma nell’ordinamento, perché riprodotta da altra disposizione successiva alla quale dovrà riferirsi la pronuncia. Questo sarebbe, appunto, il caso della norma denunciata dal Pretore di Firenze, che, sebbene contenuta in un decreto-legge non convertito, continua a sopravvivere grazie alla formulazione dell’art. 1-bis del decreto-legge n. 172 del 1997, convertito nella legge n. 240 del 1997, che deve essere applicato nel giudizio principale, rimasto sospeso.

Nel merito i termini della questione sarebbero posti con chiarezza dall’ordinanza di rimessione. La norma denunciata attribuirebbe al prefetto, oltre alla potestà di fissare criteri generali per l’impiego della forza pubblica nell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili urbani adibiti ad abitazione, anche il potere di determinare puntualmente i tempi e le modalità di concessione della stessa nei singoli casi. Ciò comporterebbe, in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, la sostituzione di un’attività amministrativa largamente discrezionale alla funzione giurisdizionale. Il legislatore, libero di disciplinare la durata del rapporto di locazione, non potrebbe conseguire tale risultato vanificando il diritto di ottenere l’esecuzione forzata, componente essenziale della tutela giurisdizionale dei diritti, per sfratti relativi a rapporti di locazione esauriti.

Il potere di concedere o negare nei singoli casi l’uso della forza pubblica per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali di rilascio degli immobili porterebbe ad una sovrapposizione delle valutazioni del prefetto a quelle del giudice, consentendo di paralizzare, senza alcun criterio stabilito dalla legge, l’esecuzione della sentenza o dell’ordinanza di convalida dello sfratto. Né sarebbe consentito all’amministrazione bilanciare la condizione del locatore e quella del conduttore o introdurre la valutazione di interessi pubblici e privati estranei al processo.

La mancata concessione della forza pubblica inciderebbe anche sul contenuto essenziale del diritto di proprietà, la cui funzione sociale è già perseguita dalla legislazione tributaria e dalla legislazione speciale delle locazioni. Questa esprime un favore per la parte contraente considerata più debole e non sarebbe ammissibile un’ulteriore compressione della proprietà nell’attuazione dei provvedimenti giurisdizionali che sono stati emanati già tenendo conto della condizione delle parti per stabilire la data dell’esecuzione (art. 56 della legge n. 392 del 1978).

La disposizione denunciata violerebbe anche l’essenza e l’autonomia della giurisdizione, giacché l’autorità amministrativa, richiesta di concorrere con la forza pubblica all’esecuzione di una pronuncia giurisdizionale o del comando contenuto nel titolo esecutivo, non è chiamata ad esercitare una potestà amministrativa, ma a prestare un’attività materiale per realizzare il fine della giurisdizione contro chi non adempie. Nell’esplicazione di tale servizio non sarebbe consentita alcuna valutazione di opportunità, come avverrebbe, invece, se le determinazioni del prefetto si sovrapponessero al provvedimento del giudice, compromettendo, con una graduazione amministrativa nell’esecuzione degli sfratti, il diritto del proprietario a conseguire la restituzione dell’immobile alla scadenza fissata dal giudice.

La norma denunciata configurerebbe un rinvio senza limiti della possibilità di ottenere la disponibilità del bene da parte del proprietario, mentre la stessa proroga delle locazioni, secondo l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, deve essere contenuta entro un ristretto spazio temporale ed essere dettata da rilevanti esigenze sociali, senza che si realizzi una definitiva ed irreversibile compressione della facoltà di godimento del proprietario (sentenze n. 225 del 1976 e n. 323 del 1993).

 

Considerato in diritto

 

1.— La questione di legittimità costituzionale investe i poteri attribuiti al prefetto dalla disciplina dell’assistenza della forza pubblica per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali di rilascio di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione.

Il Pretore di Firenze dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 443 (Differimento di termini previsti da dsposizioni legislative in materia di opere pubbliche e politiche ambientali e territoriali, nonché disposizioni urgenti per il recupero edilizio nei centri urbani), che stabilisce, dettando interventi nel settore abitativo, che gli artt. 3 e 5 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551 (Misure urgenti per fronteggiare l’eccezionale carenza di disponibilità abitative), convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 1989, n. 61, devono intendersi nel senso che al prefetto è attribuita la potestà, oltre che di fissare criteri generali per l’impiego della forza pubblica nell’esecuzione di tutti i provvedimenti di rilascio di immobili urbani ad uso abitazione, con esclusione soltanto di quelli non aventi origine da rapporti di locazione, anche di determinare puntualmente i tempi e le modalità della concessione della medesima, in correlazione con le situazioni di volta in volta emergenti, anche in deroga all’ordine di presentazione delle richieste dell’ufficiale giudiziario.

Il potere attribuito al prefetto di valutare singoli casi per attribuire o meno l’assistenza della forza pubblica nell’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali sarebbe in contrasto: a) con il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (art. 24, primo comma, della Costituzione), che comprende anche la fase dell’esecuzione forzata; b) con la garanzia costituzionale della proprietà privata (art. 42, primo e secondo comma, della Costituzione), giacché il proprietario dell’immobile verrebbe privato della disponibilità dello stesso senza limiti di tempo ed in base ad una valutazione discrezionale del prefetto; c) con la garanzia che la funzione giurisdizionale sia esercitata da magistrati (art. 102, primo comma, della Costituzione), mentre la valutazione del prefetto, che differisce sostanzialmente l’esecuzione, si sovrapporrebbe a quella del giudice.

2. — Dopo l’emanazione dell’ordinanza di rimessione, il decreto-legge n. 443 del 1996, che contiene la disposizione denunciata dal Pretore di Firenze, è decaduto, non essendo stato approvato dalla Camera dei deputati, nella seduta del 9 ottobre 1996, il disegno di legge di conversione. Tuttavia la questione di legittimità costituzionale sopravvive in riferimento all'art. 1-bis, aggiunto, dalla legge 25 luglio 1997, n. 240, in sede di conversione, al decreto-legge 19 giugno 1997, n. 172 (Misure urgenti per fronteggiare l’eccezionale carenza di disponibilità abitativa), che ha un contenuto normativo identico a quello espresso dall'art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 443 del 1996. La norma si qualifica come di interpretazione degli artt. 3 e 5 del decreto-legge n. 551 del 1988 (convertito nella legge n. 61 del 1989), che disciplinano l’assistenza della forza pubblica per l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari di rilascio degli immobili urbani adibiti ad abitazione ed i poteri attribuiti in questo ambito al prefetto (che si esercitano fino al 31 ottobre 1998 in forza del decreto-legge 2 febbraio 1998, n. 7) non solo per la fissazione dei criteri generali di impiego della forza pubblica, ma anche in ordine ai tempi ed alle modalità di concessione della stessa in correlazione alle singole situazioni di volta in volta emergenti.

La norma interpretativa ha efficacia retroattiva, giacché il suo contenuto prescrittivo può essere ricondotto all’ambito normativo della legge interpretata, la quale trova così applicazione soltanto nel significato imposto dalla legge di interpretazione autentica. Il medesimo contenuto normativo del decaduto decreto-legge n. 443 del 1996 trova espressione, egualmente retroattiva, nell’art. 1-bis del decreto-legge n. 172 del 1997, al quale va dunque riferito lo scrutinio di legittimità costituzionale.

3. — La questione è fondata nei limiti di seguito precisati.

La norma denunciata, nel fare riferimento ai poteri conferiti al prefetto per l’impiego della forza pubblica nell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili urbani ad uso abitativo, contiene due distinti enunciati normativi. Il primo ribadisce il potere di fissare criteri generali per la concessione dell’assistenza della forza pubblica, sulla base del parere periodicamente fornito dalla commissione consultiva costituita presso la prefettura, tenendo conto della generale situazione abitativa della provincia e delle richieste di esecuzione presentate all’ufficiale giudiziario. Questa attribuzione del prefetto non è oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale proposti dal Pretore di Firenze.

Il secondo enunciato normativo dell’art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 443 del 1996 (ed ora dell’art. 1-bis del decreto-legge n. 172 del 1997), il solo investito dalla questione di legittimità costituzionale, interpreta gli artt. 3 e 5 del decreto-legge n. 551 del 1988, nel senso che il prefetto può anche determinare puntualmente i tempi e le modalità di concessione della forza pubblica in correlazione alle situazioni di volta in volta emergenti ed in deroga all’ordine di presentazione delle richieste, in tal modo intervenendo nella singola procedura esecutiva, che può non essere portata a compimento per effetto della determinazione amministrativa del prefetto.

L’interpretazione degli artt. 3 e 5 del decreto-legge n. 551 del 1988 imposta dal legislatore si differenzia da quella in precedenza enunciata dalla Corte di cassazione che, dichiarando manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale relativa ai poteri attribuiti al prefetto, aveva ritenuto che a quest’ultimo non è rimesso l’esercizio di alcuna funzione interferente con la giurisdizione, bensì solo l’adozione di provvedimenti strumentali ed ausiliari rispetto a quelli propri del procedimento di esecuzione forzata per rilascio. In questa prospettiva, la graduazione nella concessione della forza pubblica attua una regolamentazione preventiva dell’attività di collaborazione alla vera e propria esecuzione forzata, dettata nell’esercizio di una funzione che rimane anche sostanzialmente di natura amministrativa, senza che il prefetto possa incidere sui singoli procedimenti esecutivi, se non attraverso i criteri generali preventivamente stabiliti. In questo ambito, per un verso il potere del prefetto non comporta alcun esame del titolo esecutivo, per altro verso resta attribuito al giudice dell’esecuzione il potere di controllare anche l’osservanza dei criteri generali stabiliti dal prefetto.

L’interpretazione vincolante dettata ora dal legislatore consente invece al prefetto, nel determinare puntualmente tempi e modalità di concessione della forza pubblica anche in deroga all’ordine delle richieste, di conoscere delle singole esecuzioni con un intervento che — secondo la lettura della norma offerta dal giudice rimettente, plausibile giacché l’interpretazione autentica tende proprio a discostarsi dalla precedente interpretazione affermatasi nella giurisprudenza — perde i caratteri della mera collaborazione all’esecuzione forzata, della ausiliarietà e della strumentalità rispetto al provvedimento giurisdizionale. Si tratta di un intervento che giunge a determinare un sostanziale differimento amministrativo della singola esecuzione forzata, incidendo in tal modo sul principio costituzionale della tutela giurisdizionale delle situazioni soggettive. Difatti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (art. 24, primo comma, Cost.) comprende la fase dell’esecuzione forzata, la quale è diretta a rendere effettiva l’attuazione dei provvedimenti giurisdizionali, che non può essere elusa o condizionata da valutazioni amministrative di opportunità.

L’illegittimità costituzionale della norma interpretativa non travolge la disposizione interpretata, il cui contenuto normativo permane nel senso rispettoso della tutela e della funzione giurisdizionale, che la giurisprudenza aveva già individuato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1-bis del decreto-legge 19 giugno 1997, n. 172 (Misure urgenti per fronteggiare l’eccezionale carenza di disponibilità abitativa), aggiunto dalla legge di conversione 25 luglio 1997, n. 240, nella parte in cui prevede che il prefetto possa determinare il differimento della singola esecuzione forzata.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1998.

      Presidente: Renato GRANATA

      Redattore: Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 24 luglio 1998.


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