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In margine al discorso di Francesco ai partecipanti al 3° incontro mondiale dei movimenti popolari – Roma 5 novembre 2016 di Vincenzo Simoni


In margine al discorso di Francesco ai partecipanti al 3° incontro mondiale dei movimenti popolari – Roma 5 novembre 2016

Vittorio Agnoletto ci ha inviato molto materiale e un breve commento che si conclude con questa frase: Forse oggi, a quindici anni da Genova, possiamo dire di aver seminato bene, e che qualcuno ha raccolto il nostro programma… Buona lettura. Poi ognuno darà la sua valutazione” .

Raccolgo l’invito. Dunque, potrei sbrigativamente considerarlo come qualcosa di analogo a quanto esposto ed ascoltato nei summit no- global o altermondialisti, oppure ridurlo ad un evento religioso dove i “non credenti ” sono degli invitati.  Oppure, ammettendo che si tratti di qualcosa di totalmente  umano passare alla sostanza delle sue argomentazioni. Cercherò di farlo in  quest’altro modo.

I termini ricorrenti utilizzati da Francesco sono “denaro” e “poveri”, sfuma ancora il rapporto tra denaro e comando oligarchico sulle molteplici risorse naturali e umane.  Il richiamo all’enciclica di Pio XI – 15 maggio 1931, 109 - è un po’ imbarazzante se accostata alla terminologia del fascismo sedicente proletario con cui il papato s’era saldato con i Patti Lateranensi. Pio XI, ce lo riferisce Francesco  “prevedeva l’affermarsi di una dittatura globale che chiamò “imperialismo internazionale del denaro”.  Solo lui? Nient’affatto. E’ ancora la vulgata dominante di chi si oppone alla globalizzazione finanziaria, distinguendola dal capitalismo autentico: è il termine che anche gli anticapitalisti assumono come tratto distintivo della fase storica che stiamo attraversando.

Per Francesco “il primato del denaro (…) è il filo invisibile  che può consolidarsi e trasformarsi in una frusta, una frusta esistenziale che, come gli Egizi dell’Antico Testamento, rende schiavi, ruba la libertà, colpisce senza misericordia alcuni e minaccia costantemente altri, per abbattere tutti come bestiame fin dove vuole il denaro divinizzato”. Ed ancora: “ Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai”.

Qualcosa di demoniaco? L’impressione è questa ed è difficile non esserne tutti coinvolti. Che c’è di sbagliato in questo ricorrente recupero della patristica cattolica? Che c’è di deviante nell’appello alla carità e alla misericordia che è altra cosa dalla liberazione? Parecchio. E che in qualche modo lo stesso Francesco percepisca il rischio lo si potrebbe intravedere in una parte del suo discorso che sembra diversamente ispirata. Merita riportare questo determinante passaggio. “Vorrei sottolineare” dice Francesco due rischi che ruotano attorno al rapporto tra i movimenti popolari e politica: il rischio di lasciarsi incasellare e il rischio di lasciarsi corrompere. Primo, non lasciarsi imbrigliare, perché alcuni dicono: la cooperativa, la mensa, l’orto agro ecologico, le microimprese, il progetto dei piani assistenziali … fin qui tutto bene. Finché vi mantenete nella casella delle “politiche sociali”, finché non mettete in discussione la politica economica o la politica con la maiuscola, vi si tollera.” E aggiunge: “ Quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i poveri, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema”. Non è finita! Egli va oltre, chiama i partecipanti alla … lotta. “Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi”.

Attenzione, questa parte del suo discorso non è non è un inciso; è parecchio ribadita.

Poi passa al rischio corruzione, è una parte “morale” che parrebbe separata dalla politica e dall’economia mentre sarebbe agevole la connessione organica. Francesco alla corruzione oppone l’austerità, “morale … nel modo di vivere, austerità nel modo in cui porto avanti la mia vita, la mia famiglia. Austerità morale e umana.”. E prosegue con un appello: “ A qualsiasi persona che sia troppo attaccata alle cose materiali o allo specchio, a chi ama il denaro, i banchetti esuberanti, gli abiti raffinati, consiglierei di capire cosa sta succedendo nel suo cuore e di pregare Dio di liberarlo dai suoi lacci”. Come se sapesse di che pasta sono fatte tante cosiddette ONLUS e il corteggiato Terzo Settore! Insomma non va sottovalutata l’insistenza di Francesco su questo tremendo rischio.

Mi chiedo: basta la linea politica verso il rinnovamento nella giustizia e nella dignità per garantirci dalle involuzioni che hanno coinvolto e rovesciato nel suo opposto tante esperienze politiche e sociali? O c’è qualcosa di più obbligante ?

E’ questa la parte che mi accingo a presentare. Parto da una constatazione: dove è dominante l’oligarchia nelle sue più varie rappresentazioni (religiosa, caudillista, post-comunista, global-affaristica…) il lavoro è sprovvisto di adeguate autodifese. Nelle stesse società occidentali non appena flettono gli indicatori economici sbocciano le restrizioni al diritto di sciopero, alla pari dignità organizzativa, alle cosiddette protezioni normative.  Credo che non sia difficile comporre una mappa tematica mondiale che rappresenti il tasso di oppressione nei confronti dei lavoratori e come questo si proietti negativamente su tutte le libertà.  Effetti sulla politica? Si alimenta la disaffezione, l’astensione, la subordinazione! Sindacalismo da ricreare come? Robusto ma non monolitico, autorevole ma non autoritario, dotato di professionalità ma non trasformato in impresa.  Condizione costante per altri sviluppi, che non siano libreschi, che siano anche eclettici, per la proprietà come valore d’uso, per gli scambi di qualità che non distruggano le comunità. Sindacalismo necessario come avvio di altre articolazioni democratiche anche per altri soggetti economici. Teoria e auspicio la mia? Nient’affatto: non ci sono state emancipazioni contigue senza questa  precondizione.

 E la corruzione non è forse penetrata anche in queste strutture? Certo, ma non per colpe di singoli o di un ceto con una tara costitutiva: questa dipende dalla linea generale, quando si transige sulla dignità umana per contrattare la ruffianeria del subordinato. E’ sempre questione di linea.

PS: mentre sto concludendo mi rendo conto di come sia dura la resistenza in tanti paesi, e quanto è pervasivo l’intreccio tra persecuzione e partecipazione allo sfruttamento … e, purtroppo, come le stesse unioni sindacali transnazionali ne siano spesso. e non solo per omissione, colpevolmente coinvolte. Ed altro ancora …

Vincenzo Simoni – Firenze, 18 novembre 2016.

 




Data notizia21.11.2016

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