Roma: restateacasa, ma quale? - Rete della Conoscenza
restateacasa, ma quale?
L’appello, più volte prodotto dal governo e dai responsabili sanitari all’interno di questa emergenza, è quello di restare a casa per limitare i rischi di contagio e garantire la tenuta del nostro sistema sanitario nazionale. In queste settimane di quarantena e di arresto quasi generale dell’attività economica, tuttavia, emergono con forza le esigenze delle persone che in questo momento non hanno la possibilità di essere sicuri del loro alloggio.
Persone con difficoltà economiche, studentesse e studenti fuorisede, donne e soggettività non-eteronormate colpit* dalla violenza domestica, disoccupati, lavoratori poveri e senzatetto sono coloro che subiscono di più la gravità della situazione, non trovano risposte sufficienti nei decreti del Governo. Ligi ad incrementare le misure di controllo sociale, questi non hanno la stessa incisività nell’affrontare questioni di sicurezza economica, tralasciando quasi del tutto la questione del diritto alla casa.
Le due misure finora messe in campo dal Governo in tema di alloggio sono state il blocco degli sfratti fino al 30 giugno e la sospensione del mutuo sulla prima casa. Queste misure sono insufficienti. Bloccare gli sfratti significa dare certo una risposta immediata a chi rischiava di vedersi buttato fuori di casa, ma non risolve il problema degli affitti, e tantomeno di chi una casa non ce l’ha. Inoltre, porterebbe chi per difficoltà economiche legate alla situazione generale non può pagare l’affitto a rischiare di ritrovarsi in una situazione di morosità incolpevole, al quale poi potrebbe seguire una richiesta di sfratto, comunque attuabile dopo il 30 giugno. Per i mutui, la soluzione delle istituzioni rimane quella di rimandare il problema senza che sia effettivamente portata avanti un’analisi sulle conseguenze di lungo periodo che la pandemia avrà sull’economia.
Una politica più generale sul costo della casa è necessaria. La prima misura da mettere in campo in tempi immediati è un contributo affitti per le persone in condizioni di difficoltà economica. Questo contributo deve essere accessibile con facilità, senza condizionalità, e determinare l’accesso solo sulla base del reddito disponibile. In questo senso, insieme all’Unione Inquilini e a Pensare Urbano abbiamo sottoscritto un appello, disponibile qui, per un contributo straordinario volto a sostenere chi vivendo in affitto si trova in una situazione di difficoltà.
Questa è solo una prima misura necessaria per arrivare a un ripensamento complessivo del diritto alla casa in Italia, che riguarda invece l’estensione degli affitti calmierati, la tassazione delle case sfitte, e la sempre più necessaria tassa patrimoniale su chi, possedendo degli immobili, specula sulla condizione di milioni di studenti, lavoratori e famiglie.
I senzatetto subiscono maggiormente questa contraddizione tra le prescrizioni sanitarie e l’assenza di diritti fondamentali per poterle rispettare. Questi ultimi si trovano nella condizione di essere multati per aver violato la quarantena, ma non possono mettersi al riparo, trovandosi così a dover subire ancora di più il rischio di contagio. Questo è paradossale. Secondo le stime il numero dei senzatetto arriva anche a 70.000 unità in Italia. A fronte di un’emergenza di questo tipo, il Governo deve considerare il problema e predisporre delle misure adeguate. Ad esempio, considerando la larga disponibilità di strutture alberghiere ad oggi vuote e che rischiano di rimanere tali, il Governo può e deve espropriare queste strutture temporaneamente, al fine di far fronte all’emergenza e garantire una casa a tutte e tutti i senzatetto.
I dati di Federcasa indicano mostrano una situazione drammatica. Le case popolari in italia sono circa 750.000 di ATER, ALER, IACP – insomma, le aziende per l’edilizia residenziale pubblica – oltre a circa 250.000 case popolari di proprietà dei Comuni. Le famiglie in graduatoria sono però 650.000 – ossia hanno diritto e ancora attendono una casa popolare, spesso da numerosi anni – mentre le famiglie nelle case occupate/occupazioni abitative sono circa 48.000. Le case popolari vuote perché hanno bisogno di ristrutturazioni sono circa 40.000. Unione Inquilini dice che servirebbero 500.000 case popolari nuove da recuperare – senza ulteriore consumo di suolo – tra immobili pubblici e privati dismessi.
E’ bene ricordare che in Italia vi sono circa 7 milioni di case sfitte, ossia cento volte tanto il numero dei senza dimora. Questo evidenzia una dimensione alle diseguaglianze presenti nel nostro Paese, che andrebbero affrontate a partire da una seria politica di redistribuzione materiale e fiscale.
Nel piano di “ricostruzione” in seguito all’emergenza, di cui tanto di parla, sarà indispensabile prevedere un piano di investimenti pubblici nell’edilizia abitativa popolare. Bisogna garantire un alloggio a tutte le persone che ne hanno bisogno, creando allo stesso tempo lavoro di qualità con la costruzione di abitazioni popolari eco-sostenibili.
La crisi economica, come d’altronde quella sanitaria che stiamo vivendo, non colpirà tutti allo stesso modo. Restare uniti e predisporre misure affinché gli effetti di quest’ultima non siano pagati dai più deboli non è solo necessario, è giusto.
Rete della Conoscenza – roma 19 aprile 2020.